Intervista a Paolo Santi, dirigente di ricerca IIT-CNR che collabora con il Senseable City Lab (MIT) di Boston
Questa intervista parte dall’Istituto di Informatica e Telematica del CNR e arriva dall’altra parte dell’oceano. Sì, perché Paolo Santi, dirigente di ricerca presso l’unità IIT-CNR Algorithms and Computation Mathematics, vive negli Stati Uniti dal 2013, dove dirige la MIT/Fraunhofer Ambient Mobility initiative del Senseable city lab, presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT).
Santi si occupa di smart cities: in particolare si cimenta nell’applicazione di metodi e tecnologie digitali nelle città: “Le tematiche su cui lavoriamo sono molte, dalla mobilità all’utilizzo intelligente dei dispositivi delle persone”, racconta.
La matematica dei taxi
Tutti gli studi del ricercatore partono da problemi matematici, ma spesso poi si traducono in applicazioni su situazioni reali. “Come l’ottimizzazione degli spostamenti tra casa e lavoro”, spiega. Le persone hanno in genere orari e destinazioni simili, per questo gli informatici hanno pensato di proporre soluzioni per risparmiare qualche viaggio grazie alla mobilità condivisa. “Lo stesso ragionamento lo abbiamo fatto anche sui taxi di New York, partendo dai dati reali messi a disposizione dalla New York Taxi and Limousine Commission. Nella densa realtà urbana della Grande Mela, ogni giorno i taxi effettuano circa mezzo milione di viaggi. Ci siamo chiesti quanti di questi potessero essere condividisi, in modo di poter risparmiare chilometri. É un problema di ottimizzazione complessa, in pratica si devono studiare delle combinazioni matematiche”.
La ricerca ha prodotto pubblicazioni (tra cui una su Nature nel 2018) e brevetti, oltre a mettere in luce il fatto che anche un fenomeno iconico come il traffico dei taxi a New York può essere reso più smart grazie alla tecnologia. E non è conclusa del tutto, visto che adesso lo stesso team sta studiando la questione dei parcheggi. “In una situazione ideale ogni taxi non avrebbe mai bisogno di parcheggiare, perché salutato un passeggero ne vorrebbe prelevare subito un altro”, riflette Santi.
Ma questo non succede quasi mai perché il modo in cui ci muoviamo non è bilanciato, quindi, nell’attesa del cliente successivo il tassista ha due soluzioni: parcheggiare o spostarsi di nuovo. “Se mi muovo lascio un posto libero in più, ma aumento anche il traffico. Trovare un equilibrio è una bella sfida, stiamo studiando per cercare di definire al meglio questo compromesso”.
La questione prende il nome di minimum fleet problem e rappresenta una sfida affascinante, dal momento che se si ottimizzano i percorsi e le soste e si riescono a prelevare più persone che condividono lo stesso tragitto si può ridurre il numero dei veicoli e di conseguenza il traffico. Un problema non certo di poco conto nella City.
In giro per la città
Ma mobilità non è solo auto e parcheggi. “Abbiamo lavorato su circa 200 mila traiettorie di pedoni a Boston per capire le strategie che si mettono in atto per andare da un punto a un altro in una città”. Grazie alla grande quantità di dati messi a disposizione da una app, gli scienziati si sono accorti che non si sceglie necessariamente il percorso più corto, né quello suggerito da servizi come Google Maps. La deviazione rispetto al percorso minimo è piccola se il tragitto è breve, mentre più importante in caso di tratte più lunghe, a dimostrazione del fatto che non siamo poi così abili nel calcolare la direzione più conveniente da scegliere. Inoltre, le scelte sono asimmetriche (i tragitti di andata e ritorno sono diversi). “Esistevano già da tempo teorie sulla navigazione delle persone in ambienti complessi come le città, solo che fino a questo momento non era stato possibile dimostrarle su larga scala, ma solo in occasione di esperimenti di realtà virtuale, con singole persone invitate a muoversi all’interno di stanze o percorsi limitati”, prosegue.
Come sta il ponte?
Un’altra tematica su cui lavora Santi è il cosiddetto urban sensing. La tecnica prevede di utilizzare dispositivi che sono già presenti nelle città (come gli smartphone dei suoi abitanti) per rilevare informazioni importanti. “Un esempio interessante a questo proposito è lo studio che stiamo conducendo sullo stato di salute dei ponti, misurato attraverso gli accelerometri dello smartphone”. Il progetto parte dall’idea di estrarre, tramite una app, i dati di accelerazione. Grazie al Gps, la app capisce quando si sta attraversando un ponte e si attiva in automatico per raccogliere informazioni sull’accelerazione, elaborarle e trovare le frequenze naturali del ponte. “Quando è sollecitato, il ponte vibra secondo certe frequenze, che variano a seconda che la struttura sia integra o meno”. Lo studio delle frequenze può rivelare un problema prima che compaiano le prime crepe visibili dall’occhio umano.
Il problema, nella pratica, ovviamente è molto più complesso di così. Tra i vari aspetti, c’è da considerare che i dati registrati dai telefoni sono spesso sporchi perché risentono della strada sconnessa, delle condizioni del traffico, ma anche semplicemente dal punto in cui si posiziona lo smartphone all’interno della vettura: “Nei primi studi mettevamo il telefono sul cruscotto, ottenendo risultati buoni. Poi abbiamo visto che se viene tenuto in mano i risultati sono meno accurati”.
Tra i ponti studiati da Santi, il celeberrimo Golden Gate di San Francisco. “Abbiamo unito i dati messi a disposizione da Uber con quelli raccolti dai nostri ricercatori, che facevano avanti e indietro sul ponte per raccogliere informazioni più accurate possibile”, ricorda.
Il prossimo passo su questo progetto prevede uno studio dei ponti italiani, in collaborazione con Anas.
(photo credits: Senseable City Lab)