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BITbyBIT puntata 6 – Qubit by qubit

Ultima puntata di BITbyBIT: ospite Claudio Cicconetti dell'unità di ricerca Ubiquitous Internet per parlarci di quantum computing e quantum internet.

La sesta ed ultima puntata di BITbyBIT, il podcast dell’Istituto di Informatica e Telematica del CNR dedicato alla computer science, ci porta nel mondo della quantistica.

Claudio Cicconetti è il ricercatore che all’IIT-CNR si occupa di una delle più affascinanti sfide alle frontiere della ricerca informatica: realizzare la internet quantistica, cioè collegare i computer tra loro usando le proprietà del quantum, che consentirebbero a questa “nuova internet” di essere infinitamente più sicura nella trasmissione dei dati.

Se ad oggi anche i computer quantistici sono ancora oggetto di ricerca e sperimentazione nei laboratori di tutto il mondo, dalle iniziative nazionali alle grandi aziende private, la rete internet basata sul quantum rappresenta davvero un’ipotesi, una teoria i cui risultati pratici, se positivi, saranno a disposizione della comunità tra molti, molti anni. Ma è una sfida che la ricerca deve cogliere, un po’ come è accaduto agli albori dell’informatica, con l’invenzione dei calcolatori prima e con quella di Internet poi.

La quantistica è una branca estremamente complessa della fisica, talmente complessa che, lo raccontiamo in questa puntata, perfino Einstein non ne colse il senso e non ne comprese i postulati. Come disse il fisico Niels Bohr: “Chiunque non sia scioccato dalla teoria quantistica non l’ha capita”. Ed è un tema di enorme attualità, perché proprio nel 2022 il Premio Nobel per la Fisica è andato a Alain Aspect, John F. Clauser e Anton Zeilinger, tre fisici che in momenti diversi hanno confermato la complessa teoria dell’entanglement quantistico.

Speriamo, grazie all’aiuto di Cicconetti, di avervi incuriositi e interessati a un tema che è stato affascinante e complesso da affrontare anche per noi. E ci auguriamo che questa prima stagione di BITbyBIT sia riuscita ad appassionarvi alla ricerca informatica e a trasmettervi, almeno in parte, tutto il suo incredibile valore.

Potete ascoltare l’ultima puntata di BITbyBIT sulle principali piattaforme di podcast, in particolare su Spotify e Apple Podcast, o direttamente cliccando sul player qui sotto. Di seguito trovate la versione trascritta della puntata.


Puntata 6 – Qubit by qubit


[VIOLA] Quello che avete appena sentito è il rumore che fa un computer quantistico mentre lavora. Si tratta in particolare di un computer di IBM, un’azienda che nel campo della tecnologia quantistica sta cercando di affermarsi e far parlare di sé. Quando si parla di questo argomento, però, non è sempre facile andare oltre agli annunci e capirne i risvolti pratici e gli impatti sulle nostre vite a lungo termine

[CHIARA] Dei computer quantistici sentiamo parlare ormai da anni dagli addetti ai lavori, ma la sensazione è sempre stata quella di trovarsi di fronte a un’ipotesi, lontana chissà quanto nel tempo, più che a una realtà vicina a noi.
Ci siamo fatti l’idea in questi anni che il quantum computing sia ancora una tecnologia sperimentale, di ricerca, e la ricerca come abbiamo capito ha sempre lo sguardo puntato verso il futuro e molto meno sul presente. Sappiamo che nell’impresa di costruire computer quantistici sono coinvolti sia i grandi enti di ricerca internazionali, sia le grandi industrie del settore informatico.
Nel 2019 all’improvviso c’è stata una svolta: IBM ha annunciato di voler lanciare il primo computer quantistico commerciale, il Q System One. Niente di paragonabile, ancora, a un personal computer domestico: si tratta comunque ancora di una macchina che l’azienda ha messo a disposizione solo delle sue aziende partner e reso utilizzabile in cloud da parte degli utenti comuni, su richiesta.
In quel momento ci siamo accorti che quella rivoluzione che sembrava così lontana in realtà stava già bussando alle nostre porte.
Si parlava di aziende. Non è solo IBM a fare la gara qui, ci sono anche Google, con il suo Quantum Artificial Intelligence Lab dedicato alla ricerca e sviluppo quantistico, e tanti altri che in tutto il mondo investono sullo sviluppo del quantum computing, compresa la Cina, che nel 2023 ha annunciato di aver messo a punto il suo primo computer quantistico commerciale, anche se non l’hanno ancora mostrato al grande pubblico.

[VIOLA] Aspetta Chiara. Questa sfida che stai raccontando è molto affascinante, ma facciamo un passo indietro. Forse dobbiamo spiegare perché i computer quantistici sono così rivoluzionari.

[CHIARA] Ok, giusto. Senza addentrarci troppo nelle questioni tecniche, anche perché sono davvero davvero complesse, possiamo riassumere così l’obiettivo del Quantum Computing: sfruttare al meglio le leggi della fisica per realizzare tecnologie in grado di svolgere, in tempi molto rapidi, compiti molto complessi. Siamo nel campo della meccanica quantistica, che è quella branca della fisica che studia il comportamento delle particelle su scale molto piccole. Per capire che cosa intendiamo con “scale molto piccole”, pensa che stiamo parlando di dimensioni simili o addirittura inferiori a quelle degli atomi: circa un decimo di miliardesimo di metro. Queste sono le dimensioni dei cosiddetti “bit quantistici” (o qubits, in inglese).

[VIOLA] Che cos’è il bit “classico” ormai lo sappiamo, lo abbiamo spiegato anche nella prima puntata di questo podcast: il bit è l’unità di misura fondamentale dell’informatica, la quantità minima di informazione che può essere gestita da un computer.

[CHIARA] Esatto. E il quantum bit è altro che il suo analogo all’interno dei computer quantistici.
I bit quantistici hanno delle proprietà fisiche specifiche che consentono loro di moltiplicare a dismisura la potenza e la velocità di calcolo. Per darti un’idea: se chiedo a un computer quantistico di simulare la molecola molto complessa di un nuovo farmaco può farlo in pochi minuti, ed è un calcolo che con un computer non quantistico, di quelli che abbiamo oggi, anche il più potente, richiederebbe migliaia di anni. Insomma, il computer quantistico supera in un attimo tutto quello che sappiamo della tecnologia che usiamo tutti i giorni, e che ci sembra già così evoluta.
Ma al di là degli annunci di questi anni, i computer quantistici non si trovano ancora sulle nostre scrivanie ed è ancora molto lontano il momento in cui questo accadrà. E poi: i computer “tradizionali” 50 anni fa sono stati messi in comunicazione tra loro grazie a Internet. Quando avremo i computer quantistici ci servirà anche una nuova “Internet quantistica” per farli parlare tra loro?

[VIOLA] Per capire davvero a che punto siamo e in che modo la fisica quantistica potrebbe cambiare in futuro non solo i nostri pc, ma anche il nostro utilizzo quotidiano di internet, ci facciamo aiutare da Claudio Cicconetti, ricercatore dell’IIT-CNR. Claudio studia algoritmi e protocolli per una possibile, futura realizzazione della Quantum Internet. Le parole “possibile” e “futura”, in questo caso sono d’obbligo, perché quando abbiamo a che fare con studi che ruotano attorno all’argomento “Quantum”, si può parlare a tutti gli effetti di ricerca di base, long term, insomma di quella ricerca che guarda a decenni nel nostro futuro.
In questo momento, Claudio è coinvolto in tre progetti sull’argomento, uno nazionale e due europei. Per prima cosa, gli abbiamo chiesto a che punto siamo davvero con i computer quantistici.

[CLAUDIO] Oggi esistono già computer quantistici in grado di svolgere alcuni compiti, e in futuro la loro potenza di calcolo aumenterà sempre di più, soprattutto quando verranno messi in comunicazione tra loro. Però sfatiamo subito un mito: oggi questa tecnologia non serve. O almeno, i computer quantistici non sono necessari da un punto di vista pratico o commerciale. E anche se parliamo della ricerca, finora non ho ancora visto un problema risolto da un computer quantistico, che non potesse essere svolto anche da un calcolatore tradizionale (a meno di parlare di esperimenti strettamente accademici).

Richard Feynman aveva un’idea: studiare i fenomeni della meccanica quantistica usando un calcolatore basato su quegli stessi principi. Non immaginava che quel computer potesse servire a risolvere problemi pratici per tutti. Ancora oggi, se parliamo di quantum computer, ci riferiamo a qualcosa che, almeno per il momento, si trova tra le mura di un laboratorio ed è utilizzata solo a fini di studio e ricerca scientifici.

La cosa cambia, se dal calcolo quantistico ci spostiamo sulle comunicazioni, cioè su come possiamo mettere in rete questi computer.

[VIOLA] Quando è nata Internet, nel 1969, gli scienziati che l’hanno disegnata avevano un grosso vantaggio: i computer da collegare in rete esistevano già. Non erano certo i nostri personal computer, erano macchine ancora enormi ospitate da università, centri di ricerca e qualche grande azienda, erano ancora poche, ma erano lì, pronte per essere utilizzate. In più, le linee di telecomunicazioni che dovevano servire a mettere in rete questi computer erano già realizzate. Insomma, non vogliamo dire che per i pionieri di Internet sia stato tutto facile, ma la loro situazione era un po’ più semplice di quella degli scienziati come Claudio.
Ad oggi stiamo ancora studiando la possibilità di trasferire i qubit da un computer quantistico ad un altro. Ma sappiamo un po’ di cose molto interessanti sulle loro proprietà che ci fanno immaginare che l’internet quantistica sia non solo possibile ma anche potenzialmente molto utile.

[CLAUDIO] I bit quantistici non devono per forza rimanere confinati all’interno di un calcolatore, ma possono anche essere trasferiti su fibre ottiche proprio come avviene per i bit classici. Però c’è una differenza: i bit classici possono essere copiati tutte le volte che vogliamo. Invece, questa operazione è fisicamente impossibile per i bit quantistici, secondo un teorema che i fisici chiamano – appunto – “di non clonazione”. Quindi, per esempio, se trasmetto un messaggio attraverso una rete classica, e voglio che sia sicuro, devo per forza cifrarlo, perché se qualcuno lo intercetta può copiarlo senza che io neanche me ne accorga.
Invece, grazie alla “non-clonazione” dei bit quantistici, questi possono essere letti una sola volta: dal malintenzionato oppure dal destinatario, ma non da entrambi. Quindi se al destinatario non arriva nulla, questi sa con certezza che il messaggio è stato intercettato. Per questo una rete quantistica è più sicura delle reti che abbiamo adesso. E anche solo per questo penso proprio valga la pena studiarla e realizzarla.

[CHIARA] Nei primi anni ‘90 del secolo scorso le nostre telefonate viaggiavano esclusivamente in formato analogico, attraverso cavi distesi in lungo e in largo per il mondo e collegati tra loro. Il sistema si era perfezionato negli anni dall’invenzione del telefono e funzionava, non c’era motivo di cambiarlo.
ma verso la metà degli anni 90, visto che a quel punto avevamo a disposizione la rete Internet, fu studiata e sviluppata una tecnologia nuova, il VoIP – acronimo che sta per “Voce tramite protocollo Internet”, che appunto sfruttava una proprietà di Internet, poter trasmettere il segnale in pacchetti digitali sulla rete e poi trasformarli di nuovo in analogico una volta arrivati a destinazione, anche per le chiamate.
Certo, le telefonate si sarebbero potute comunque continuare a fare anche con il metodo precedente, ma i vantaggi di non far viaggiare la chiamata sulla linea analogica tradizionale erano notevoli: in poche parole, minori costi, maggiore efficienza.
Se vi state chiedendo che cosa c’entri questa storia con il quantum, sentite che cosa ci ha detto Claudio a proposito delle possibili applicazioni future di questa tecnologia.

[CLAUDIO] Con le comunicazioni quantistiche sarà possibile rendere i nostri scambi super-sicuri, non importa quanto tempo ed energia investa un malintenzionato per cercare di decifrare i nostri dati. Nella rete quantistica i calcolatori potranno mettersi d’accordo in maniera sicura ed efficiente e rendere più affidabili per esempio sistemi critici come la rete elettrica o le piattaforme finanziarie.
Quindi è come per i computer quantistici e per le comunicazioni telefoniche da analogico a Voip: la quantum internet risolverà dei problemi che già sappiamo gestire in altri modi, ma lo farà meglio.
Gli scambi dati su Internet oggi sono già sicuri. Prendiamo l’esempio di whatsapp: la cifratura richiede uno scambio continuo di sfide tra il nostro telefono e i server di Meta. Noi umani non riusciamo a percepire la mole di lavoro che c’è dietro a tutto questo, perché avviene in pochi secondi, ma si tratta di una procedura complessa che consuma risorse di rete e di calcolo che potrebbero essere impiegate per altro. Se adottassimo il quantum, tutto questo lavoro extra non sarebbe necessario, e avremmo una comunicazione più snella e più sicura, sfruttando direttamente la proprietà di non-clonazione dei bit quantistici.

[CHIARA] La non clonazione non è l’unica proprietà dei qubits. Quella fondamentale, su cui si basa tutto il funzionamento del computer quantistico, è l’entanglement, che viene anche chiamato correlazione quantistica.
Proviamo a spiegarlo semplicemente, per quanto possibile: lo stato quantico di una particella (nel nostro caso un qubit) influenza gli stati delle altre particelle che si trovano nello stesso sistema quantistico, non solo, come possiamo pensare, se due particelle sono vicine, ma anche se sono incredibilmente distanti tra loro.
Questo abbraccio a distanza è uno degli argomenti più affascinanti e sfidanti per chi si occupa di ricerca nell’ambito della fisica ed è molto complesso da realizzare. Per fare un computer quantistico è necessario realizzare l’entanglement su moltissimi qubits, perché più sono, più il calcolatore sarà potente, ed è un’impresa su cui si dovrà lavorare molto, se pensate che il Q System One di IBM ha ancora “soltanto” 20 qubits. Ma per l’internet quantistico, che studia Claudio, la soluzione sembra più vicina.

[CLAUDIO] Per fare la quantum internet non serve il computer quantistico, basta la scheda di rete quantistica che metta in entanglement anche solo pochi qubits, è questa è una tecnologia quasi dietro l’angolo. Prima di arrivarci ci saranno comunque degli step intermedi, ma questo è successo anche con l’evoluzione dalla rete telefonica a internet: c’è stato uno stadio evolutivo intermedio in cui si creavano reti digitali che andavano a ripercorrere gli stessi percorsi fatti dai cavi in rame. È stato un anello di congiunzione, che è servito perché in quel modo si poteva usare un’architettura che conoscevano tutti, quella telefonica. Era un modello ibrido che poi è stato abbandonato, ma che è servito a fare un primo passo verso il cambiamento.

[CHIARA] E in questo cambiamento sono coinvolte, come dicevamo, la comunità scientifiche europee, statunitensi e cinesi, i tre grandi attori sul palco.

In Europa si sta già lavorando alla European Quantum Communication Infrastructure Initiative, quella che dovrebbe diventare la futura rete Internet di comunicazione quantistica europea. Negli Stati Uniti è nata alla fine del 2018 la National Quantum Initiative, un programma federale per accelerare la ricerca e lo sviluppo di tecnologie quantistiche. E anche la Cina si muove da tempo e ha stanziato la cifra impressionante di 10 miliardi di dollari per le sue iniziative di ricerca in questo campo. Come per l’intelligenza artificiale, la competizione tecnologica sul quantum è uno dei tanti aspetti della nuova “guerra fredda” tra Cina e USA, con l’Europa a giocare un ruolo meno aggressivo ma comunque presente.
Nelle linee guida politiche della Commissione europea, le strategie digitali occupano una posizione di primo piano e il calcolo quantistico – insieme ad altri temi importanti come il 5G e l’intelligenza artificiale – è una delle tecnologie su cui l’Europa vuole fondare la propria competitività sullo scenario globale.

[CLAUDIO] Questa è una sfida che sta giocando tutta la comunità scientifica e c’è uno schema che secondo me si ripete: ogni nuova area che nasce nella ricerca, all’inizio vede grande collaborazione tra i ricercatori e apertura da parte dell’industria. Poi quando si va avanti (se si va avanti) iniziano ad arrivare interessi commerciali e ogni comunità si chiude su se stessa per proteggere la proprietà intellettuale sviluppata, mentre l’interesse scientifico va pian piano a diminuire.
Con il quantum siamo ancora al livello di forte speculazione scientifica e ci vorrà del tempo prima di passare alle fasi successive.
L’invenzione di Internet ha innescato una vera e propria rivoluzione ma gli effetti non sono stati subito visibili al di fuori della comunità scientifica, mentre oggi, a 50 anni di distanza, l’intera popolazione mondiale può apprezzarne i benefici grazie a progressi tecnologici che hanno portato ai telefonini e alle reti mobili.
La Internet quantistica, combinata al calcolo quantistico, ha l’ambizione di portare ad un cambiamento altrettanto importante, e forse ci vorrà lo stesso tempo, circa 50 anni, prima che possiamo vederne gli effetti pratici sulla tecnologia di tutti i giorni.

[VIOLA] Il duello tra scienziati più famoso della storia vede al centro della discussione proprio la fisica quantistica.
Siamo al congresso Solvay, a Bruxelles, ed è il 1927. Tra i partecipanti ai lavori ci sono ben 17 tra premi Nobel e futuri premi Nobel, tra i quali Albert Einstein, che pochi anni prima aveva rivoluzionato la fisica con le sue scoperte sullo spazio-tempo e Niels Bohr, il fisico danese che aveva descritto per primo la struttura dell’atomo. Tra i due comincia subito una discussione sulla validità del principio di indeterminazione. Secondo questo principio, ogni oggetto è sia una particella che un’onda, e non è possibile determinarne la posizione e la velocità allo stesso tempo.
Questa teoria, che oggi è uno dei principi fondamentali della fisica quantistica, non convince Einstein, che (semplificando al massimo) non vuole accettare l’idea che non sia possibile misurare tutto con precisione. E, come spesso accade in occasioni come le conferenze scientifiche, la discussione si accende non durante i lavorii, ma in pausa, a tavola.
Così, ogni mattina a colazione Einstein presenta a Bohr un esperimento immaginario, che sembra contraddire il principio di indeterminazione teorizzato da Bohr. E Bohr lo studia fino a che non riesce a controbattere alla critica di Einstein.
La soddisfazione di Bohr, però, dura solo poche ore, perché il giorno dopo Einstein si presenta con un nuovo, diverso esperimento immaginario.
Un altro scienziato che partecipa al congresso racconterà poi che un giorno Bohr era rimasto talmente spiazzato dall’esperimento proposto da Einstein quella mattina che, visibilmente agitato, andò per tutta la sera da uno scienziato all’altro, cercando aiuto per risolvere il paradosso. Ma dopo una notte probabilmente insonne, la mattina seguente riuscì a dare la sua risposta ad Einstein ed uscire vincitore alla fine del Congresso.
Einstein continuerà per vari anni a provare a confutare il principio di indeterminazione, ma senza successo.
Sono rimaste famose le frasi che Einstein e Bohr si sono scambiati durante una delle loro discussioni: “Non posso credere nemmeno per un attimo” diceva Einstein “ che Dio giochi a dadi con l’universo!”. “Piantala di dire a Dio che cosa fare con i suoi dadi.” rispondeva Bohr.

[CHIARA] Oggi, a quasi 100 anni di distanza da quel congresso, i fatti dimostrano che era proprio Einstein ad avere torto. Il Nobel 2022 per la fisica è stato assegnato a tre scienziati che con i loro esperimenti sono riusciti a dimostrare la teoria dell’entanglement. Tutta la fisica quantistica si basa su principi molto complessi, che sfuggono all’intuizione, a volte persino a quella delle persone con menti che definiremmo geniali come Albert Einstein.
Abbiamo chiesto a Claudio, che non è un fisico ma un ingegnere, perché ha deciso di studiare proprio questo tema così complesso e affascinante.

[CLAUDIO] Sono arrivato al CNR 5 anni fa, dopo un percorso nell’industria dove mi sono occupato di ricerca e sviluppo in ambito applicato. Dopo questa esperienza ho deciso di venire qui perchè cercavo qualcosa che avesse come dire una gittata più lunga. Non ho iniziato subito a dire il vero, è stato un percorso graduale. All’inizio mi sono occupato di temi più vicini a quello che già facevo in ambito industriale, come le reti wireless, ma piano piano mi è venuta voglia di fare qualcosa di diverso, in un certo senso potrei dire: di mettermi nei guai.
Mi piaceva proprio pensare di lavorare a qualcosa di più speculativo, con un ritorno più incerto.
Tra le varie tematiche promettenti, il quantum era quella che stimolava la mia curiosità più di ogni altra.
Alla fine ha fatto la differenza l’incoraggiamento da parte del professor Luciano Lenzini, il mio tutore di dottorato, che è l’uomo che ha portato internet in italia e ancora oggi continua a studiare le reti quantistiche anche in pensione.
Il quantum è affascinante perché ha dei risvolti profondamente controintuitivi. Come disse Niels Bohr: chiunque non sia scioccato dalla teoria quantistica non l’ha capita. Pensiamo ad Einstein: è stato il fisico più talentuoso della storia eppure non accettava i postulati del quantum, in particolare l’entanglement, che è proprio l’elemento fondamentale su cui si basano il calcolo e le comunicazioni quantistiche.

Nel 2022 il premio Nobel per la fisica è stato assegnato ai tre scienziati che hanno dimostrato che l’entanglement è una vera e propria legge della fisica, cioè che hanno di fatto contraddetto Einstein. Il premio è stato dato a tre fisici che hanno dimostrato l’entanglement con i loro esperimenti in decenni diversi ma la comunità scientifica non si è fermata alla prima dimostrazione perché intorno a quella teoria c’era scetticismo. Ci sono voluti trent’anni di esperimenti indipendenti l’uno dall’altro e sempre più completi che alla fine si sono confermati tra loro.
Credo che sia affascinante mettere una proprietà così controintuitiva e sfuggente al servizio di un’applicazione tecnologica con risvolti pratici com’è Internet.
Per i calcolatori classici la storia è andata molto diversamente. Prima di arrivare ai circuiti integrati di oggi, siamo passati da oggetti molto più grandi e che comunque permettevano di svolgere i conti che oggi può fare un qualunque computer, solo in maniera più lenta. Un transistore, una valvola termoionica, un interruttore elettromeccanico, o anche un semplice abaco di legno, sono tutti apparati per fare somme e moltiplicazioni e memorizzare dati. L’evoluzione da un sistema al successivo è solo una questione di ingegnerizzazione sempre più furba.
Invece l’abaco quantistico da tenere in mano per capire bene come funziona, non può esistere, perché, come già detto, i fenomeni quantistici per loro natura si manifestano solo su scale microscopiche. E quindi non possiamo fare affidamento sull’intuizione. I bit quantistici sono sempre e comunque degli oggetti effimeri e misteriosi. Insomma, oggetti su cui fare ricerca.

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