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BITbyBIT puntata 5 – Dove va l’intelligenza artificiale

Una puntata dedicata alle sfide della ricerca nel settore dell'AI: ospite speciale, oltre ai nostri ricercatori Chiara Boldrini e Lorenzo Valerio, la Presidente CNR Maria Chiara Carrozza

La quinta puntata di BITbyBIT, il podcast dell’Istituto di Informatica e Telematica del CNR, è dedicata a un tema attualissimo: l’intelligenza artificiale. Non solo (e non tanto) l’ormai famosissimo ChatGPT che sta monopolizzando da mesi le discussioni sul tema, ma soprattutto le sfide a lungo termine della ricerca in computer science sull’AI.

Con Chiara Boldrini e Lorenzo Valerio, ricercatori dell’unità di ricerca Ubiquitous Internet, abbiamo parlato in particolare di machine learning, di apprendimento distribuito e di intelligenza artificiale human-centric, cioè costruita per supportare l’essere umano nelle sue attività e non per sostituirlo.

Maria Chiara Carrozza, Presidente del Consiglio Nazionale della Ricerche e scienziata di fama internazionale nel campo della robotica, chiude la nostra quinta puntata con un’intervista nella quale ci racconta la via europea all’intelligenza artificiale, le scelte della politica scientifica dell’Unione su questo tema e la sfida della comunità di ricerca per costruire un’AI etica, responsabile, con finalità sociali, che ci aiuti ad affrontare le grandi sfide globali dei prossimi decenni.

Potete ascoltare la puntata sulle principali piattaforme di podcast, in particolare su Spotify e Apple Podcast, o direttamente cliccando sul player qui sotto. Di seguito trovate la versione trascritta della puntata.




BITbyBIT, puntata 5 – Dove va l’intelligenza artificiale


(CHIARA) La fantascienza, sia quella letteraria che quella cinematografica, gioca da sempre con l’idea di uno scenario futuro in cui gli esseri umani riusciranno a realizzare delle macchine così intelligenti da rappresentare una incredibile risorsa per l’umanità o anche una straordinaria minaccia. A volte queste intelligenze hanno anche avuto dei corpi, come i robot, le macchine spietate della saga di Terminator o per esempio i replicanti in Blade Runner, ma l’intelligenza artificiale forse più inquietante che ci ricordiamo tra queste è HAL 9000, il computer di 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, una macchina che non ha una forma umana, un computer che ha una voce senza corpo, impersonale, apparentemente umana ma in realtà fredda, una pura intelligenza artificiale.

Intelligenza artificiale è anche una delle parole chiave della nostra contemporaneità digitale, è probabilmente la parola chiave e non stiamo più parlando di scenari del futuro. L’intelligenza artificiale già presente ed è entrata nel nostro quotidiano in modo molto più silenzioso di quanto potessero immaginare nel secolo scorso gli artisti e probabilmente anche gli scienziati. L’intelligenza artificiale permette il riconoscimento facciale al vostro smartphone, una funzione che attivate chissà quante volte al giorno.
L’intelligenza artificiale governa gli assistenti vocali che abbiamo nelle nostre case come Alexa o ci suggerisce dei film da vedere o la musica da ascoltare sulle piattaforme streaming; e ancora l’intelligenza artificiale è nei termostati intelligenti nelle nostre case, è in molte delle automobili più evolute che si trovano sulle nostre strade, quelle che ci permettono di guidare in modo più sicuro perché ascoltano l’ambiente e imparano dalla nostra guida a prevenire i rischi di incidenti. Poi ci sono le intelligenze artificiali di cui si è discusso tanto in questi mesi, quelle che generano immagini come Midjourney o DALL-E o la ormai famosissima chat GPT.

(VIOLA) E poi c’è l’intelligenza artificiale invisibile che già da un po’ è entrata nei nostri processi industriali, che gestisce l’automazione delle macchine in una fabbrica o lavora per migliorare la produttività agricola e dell’allevamento, oppure ancora che contribuisce a rendere smart le nostre città, proprio come vi abbiamo raccontato nella scorsa puntata.
In generale dove ci sono dati da incrociare e analizzare per comprendere un fenomeno e ottenere un servizio migliore lì c’è l’intelligenza artificiale.
Qualcuno paragona questa evoluzione tecnologica a quella dell’elettricità, che ha cambiato la società in un modo così pervasivo da non permetterci neanche più di immaginare come potesse essere il mondo prima del suo avvento. L’elettricità infatti ci ha dotato di incredibili comodità nella nostra vita quotidiana, ha permesso di inventare nuovi strumenti utili per lavorare e non solo e ci ha aperto possibilità che prima sembravano impensabili: proprio quello che potrebbe fare l’intelligenza artificiale e che forse sta già facendo

(CHIARA) Il tema della puntata quindi è l’intelligenza artificiale. Se ci fate caso e riascoltate tutte le puntate precedenti di BITbyBIT vi renderete conto che ne abbiamo già parlato un sacco con i nostri ricercatori, dagli algoritmi per identificare i bot e le notizie false di Stefano Cresci e Marinella Petrocchi all’intelligenza dei dispositivi smart della casa connessa di Andrea Saracino all’interpretazione dei dati dei sensori di monitoraggio della salute di Franca Delmastro al lavoro di analisi del DNA di Romina D’Aurizio. Questo ci dimostra ancora di più quanto ormai l’intelligenza artificiale sia il tema o lo strumento di gran parte della ricerca informatica
Oggi vi raccontiamo una delle sfide più di frontiera della ricerca su questo tema, quella dell’intelligenza artificiale decentralizzata, con Chiara Boldrini e Lorenzo Valerio dell’Unità di ricerca Ubiquitous Internet dell’Istituto di Informatica e Telematica del CNR.

(CHIARA BOLDRINI) Il mio ambito di ricerca è la Human-centric AI, cioè un’intelligenza artificiale che comprende gli umani e che gli umani comprendono, una AI che non si sostituisce all’uomo ma lo supporta. Questo si traduce in un’intelligenza artificiale che sa spiegare le decisioni che prende, che migliora le capacità umane e che interagisce con gli umani nel modo in cui gli umani interagirebbero tra loro, per esempio considerando le relazioni sociali che intercorrono tra le persone.

(LORENZO VALERIO) Sono un informatico e durante la tesi magistrale ho iniziato a interessarmi di Machine Learning, argomento che poi ho studiato durante tutto il dottorato e poi è diventato anche il mio principale argomento di ricerca durante la mia carriera di ricercatore questo argomento poi piano piano è diventato quello che ora si chiama intelligenza artificiale Human-centric. La comunità scientifica moltissimi anni fa ha iniziato a lavorare per cercare di insegnare le macchine a pensare e il grande passaggio di questa ricerca è appunto chiamato machine learning. La caratteristica del machine learning è che al posto di programmare le regole che un computer deve eseguire si cerca di fare in modo che il computer impari queste regole a partire da un insieme di dati o se vogliamo da un insieme di esempi, un po’ come funziona quando si insegna qualcosa a un bambino, cioè gli si fa vedere un comportamento e lui cerca di ripeterlo imparando questo comportamento, che è un po’ come succede appunto nel cervello.
Per questo passaggio fondamentale sono servite nel tempo le tecnologie, ovvero diciamo l’aumento della capacità computazionale dei computer, sono servite grandi quantità di dati, pensiamo che noi ne produciamo tantissimi attraverso qualsiasi dispositivo che ad esempio ci circonda o che abbiamo addosso come il nostro cellulare o il nostro tablet. L’unione di potenza computazionale e dati ci permette di allenare questi modelli di intelligenza artificiale che di fatto fanno parte del grande mondo del machine learning o se avete sentito parlare di deep learning o più in generale di intelligenza artificiale.

(CHIARA) L’intelligenza artificiale è uno dei temi centrali della ricerca informatica di oggi non solo di quella pubblica perché ha un enorme valore sul mercato e molti degli esempi che abbiamo citato nella nostra introduzione sono esempi di uso commerciale dell’intelligenza artificiale. Le grandi aziende tecnologiche come Google, Amazon Facebook da anni portano avanti dei progetti dedicati a questo tema e poi ci sono anche le nuove aziende in grande espansione come OpenAI che è l’azienda che ha prodotto ChatGPT che si promettono di spostare sempre più avanti l’asticella del possibile.
Ma anche la ricerca pubblica sta investendo in questo settore e tra gli obiettivi di chi lavora per centri di ricerca pubblici come il CNR c’è quello di trovare delle soluzioni per risolvere le criticità legate all’uso di queste tecnologie: una di queste riguarda proprio i dati.

(CHIARA BOLDRINI) Al momento l’approccio più diffuso prevede di immagazzinare i dati che servono per allenare gli algoritmi su grandi server. Pensiamo ad aziende come Google o Facebook che sono in possesso dei dati di tutti i loro utenti, nel caso di Facebook per esempio i milioni di immagini che si trovano su Instagram. Da qui abbiamo conseguenze legate alla privacy per esempio ma non solo, perché gestire una mole così grande di dati non è semplice nemmeno a livello computazionale.
Noi come ricercatori siamo provando a progettare qualcosa che è un po’ diverso, in particolare ci siamo chiesti se possiamo ottenere gli stessi risultati senza trasferire i dati sul server centrale.
Proprio per questo stiamo lavorando su quella che chiamiamo AI decentralizzata e il nostro obiettivo è capire se si può fare completamente a meno del server centrale quando stiamo trattando dei servizi che si basano solo sui dati forniti dagli utenti.


(CHIARA) Un utilizzo di tipo decentralizzato per esempio lo troviamo già nelle tastiere dei telefoni Android realizzate da Google, che imparano a suggerirci le parole giuste per completare i nostri messaggi analizzando i testi che scriviamo utilizzandoli ogni giorno.
Quando scriviamo utilizzando la Google Keyboard infatti i nostri testi non vengono trasferiti sul server centrale ma restano sul nostro smartphone perché lì c’è già un modello di intelligenza artificiale che lavora su quei dati e li usa per migliorarsi. Non far muovere i dati in questo caso risponde a un’esigenza di privacy del cliente ovvia ma è anche una soluzione più sostenibile a livello di rete e di quantità di dati da trasferire sul cloud: pensiamo a quanti milioni di persone hanno uno smartphone Android e lo usano in ogni istante in giro per il mondo.

(LORENZO VALERIO) Nel paradigma decentralizzato possono essere inclusi i più svariati tipi di dispositivi, quindi Internet delle cose, dispositivi dati personali, dispositivi che si trovano nelle industrie e nelle smart city.
Nell’apprendimento decentralizzato questi dispositivi non solo elaborano i dati che hanno raccolto localmente ma cercano di accrescere la conoscenza estratta collaborando tra di loro, cercando di integrare la conoscenza presente negli altri dispositivi con cui collaborano e quindi di conseguenza nei modelli che hanno allenato. Le tecnologie che sfruttano le AI decentralizzate potrebbero essere utilizzati in vari scenari che a oggi sfruttano un approccio centralizzato. Possiamo pensare ad esempio a uno scenario pandemico in cui vogliamo cercare di stimare la diffusione del covid in un certo quartiere senza far circolare i dati grezzi sui contatti delle persone, ad esempio ogni persona potrà estrarre conoscenza dai propri dati dei propri contatti locali e potrà condividerla con le persone che le stanno intorno contribuendo così recuperare l’accuratezza della proiezione dei modelli di tutte le persone coinvolte in questo processo.
Un altro esempio potrebbe essere uno scenario di navigazione come ad esempio Google Maps in cui le persone che si spostano su un certo territorio devono scegliere il tragitto migliore in maniera totalmente collaborativa ed emergente Oppure ancora uno scenario di industria 4.0 dove i robot nella linea di produzione collaborano per ottimizzare le loro operazioni migliorando di fatto l’efficienza del processo produttivo.
O infine potrebbe esserci un’applicazione in ambito sanitario: immaginiamo ad esempio diversi ospedali che possono collaborare cercando di addestrare dei modelli in grado di diagnosticare una malattia a partire dai dati che ognuno di loro possiede ma senza far circolare questi dati che sono chiaramente dati sensibili, quindi nessuno vorrebbe spostare i dati da dove sono stati raccolti.

(VIOLA) Il problema è che l’apprendimento automatico funziona solo se si forniscono al modello tanti dati: questo è relativamente semplice se è un server centrale ma diventa decisamente più complesso se voglio utilizzare un approccio decentralizzato come ci spiega Chiara Boldrini.

(CHIARA BOLDRINI) In un approccio decentralizzato possiamo immaginare praticamente una rete fatta da tanti nodi che sono i nostri dispositivi e che lavorano in maniera sì indipendente ma allo stesso tempo collaborativa. Su ogni nodo c’è un modello di intelligenza artificiale che conosce solo i dati che si trovano su quel dispositivo, la sfida è capire come far dialogare in maniera efficace tutti i dispositivi in modo che scambino conoscenza tra loro senza però scambiarsi i dati.
In pratica questo si traduce nello scambiarsi i modelli di intelligenza artificiale cioè la conoscenza distillata dai dati locali invece che dati stessi e nel combinare i modelli in modo da ottenere un modello aggregato che contiene le conoscenze apprese dai vari dispositivi. E qui entra in gioco anche gli aspetti legati alla rete complessa delle relazioni sociali tra gli utenti: per esempio il mio dispositivo probabilmente collaborerà più volentieri con il dispositivo di un mio amico e di questo dispositivo si fiderà di più per esempio nello scambiare e nel combinare i modelli di intelligenza artificiale perché e qui si ritorna al concetto di Human-centric. Il mio alter ego AI agirà nell’ecosistema di umani e intelligenze artificiali come io agirei in un ecosistema in cui ci sono solo umani, quindi se mi devo fidare dei dati o dei modelli di un dispositivo posso utilizzare lo stesso approccio che userei per decidere se mi fiderei nella realtà nella vita reale di quella persona e quindi uso il legame sociale.

(VIOLA) Le applicazioni dell’intelligenza artificiale decentralizzata non mancano, ma c’è da dire che al momento si tratta di una tecnologia ancora tutta da studiare. Stiamo parlando infatti di una ricerca cosiddetta long term, a lungo termine, che guarda molto avanti, per questo i casi d’uso che ci hanno citato Chiara e Lorenzo non fanno parte dei loro progetti di ricerca, ricerca che al momento si muove a un livello puramente sperimentale. Ma i problemi di cui si occupano sono già in parte attuali o lo saranno in un futuro vicino a noi per questo stanno già studiando le possibili risposte. Abbiamo chiesto a Chiara e Lorenzo secondo loro che cosa ci aspetta, quali scenari vedremo nel futuro dell’intelligenza artificiale.

(LORENZO VALERIO) Il futuro che mi immagino va sotto le parole pervasivo e sostenibile. Credo che il paradigma di decentralizzata si diffonderà e troverà vari ambiti di applicazione, questo non è solo un utopia della ricerca ma si tratta di una necessità. Quindi se anche un’azienda come Google che è sicuramente interessata a raccogliere grossissime moli di dati ha deciso di utilizzare l’apprendimento federato per allenare le proprie tastiere sugli smartphone suggerisce che ci siano ampie prospettive di utilizzo.
Inoltre pensiamo che tablet e smartphone sono sempre più potenti, sanno calcolare in maniera efficiente ed efficace un sacco di dati e fare operazioni complesse, pensiamo addirittura che alcuni smartphone hanno dei processori dedicati alla computazione di reti neurali artificiali. Quindi di fatto le tecnologie e gli strumenti ci sono per farlo. Tuttavia queste tecnologie e queste operazioni sono ancora estremamente costose, soprattutto energeticamente costose, quindi c’è una forte spinta verso la definizione di metodi che le rendano più leggere e quindi più sostenibili soprattutto dal punto di vista energetico.

(CHIARA BOLDRINI) È vero, i presupposti per l’AI decentralizzata ci sono e per molti problemi non credo che in futuro sarà necessario l’utilizzo del server centrale proprio perché le stesse cose potranno essere fatte in maniera decentralizzata evitando anche problemi di privacy. Però al contempo credo che le grandi aziende informatiche non saranno molto favorevoli nel vedere la diffusione di un’AI è totalmente decentralizzata, perché questo di fatto le taglierebbe del tutto fuori sia dai dati che dai modelli degli utenti.
La decentralizzazione poi non è l’unico problema che le AI del futuro dovranno affrontare: per esempio c’è il tema della collaborazione umano-macchina e di come gestire quelle situazioni in cui l’umano e l’intelligenza artificiale prendono una decisione insieme. Quand’è che deve prevalere la scelta dell’AI, quando quella della persona con cui l’AI collabora? Tipici esempi sono la diagnostica medica, per esempio l’interpretazione di immagini di risonanza magnetica o la guida autonoma delle auto e poi in caso di decisione errata su chi dovrà ricadere la colpa?
Un altro esempio: sistemi molto efficienti nello svolgere compiti umani possono ingannare altri umani
Pensiamo per esempio a quegli algoritmi in grado di inventarsi di sana pianta studi scientifici e pure di scriverne un paper con delle strutture molto simili a quelle dei paper che escono dai nostri laboratori di ricerca. Ecco allora che diventa molto facile far girare sui social network degli studi scientifici che sono totalmente falsi ma anche totalmente credibili, e questo rende molto difficile per le persone comuni difendersi dalle fake news.

(LORENZO VALERIO) Un’altra grossa sfida riguarda la spiegabilità dei modelli che definiamo al momento blackbox. È vero che ormai esistono molti modelli anche molto potenti, pensiamo ad esempio a chatGPT e quello che riesce a fare, però tutti questi modelli sono delle vere e proprie scatole nere, nel senso che nessuno, nemmeno chi li ha progettati, riuscirebbe a dire esattamente cosa avviene in ogni singolo neurone di una rete artificiale e a spiegare il motivo per cui una rete neurale dà certe risposte
Quindi è nato tutto un filone di ricerca legato a questo aspetto e l’idea è di sviluppare metodi che rendano spiegabile l’AI però chiaramente essendo nato da poco c’è ancora tantissimo da fare
Ma in ogni caso dobbiamo chiederci: l’AI black box è veramente intelligenza?

(CHIARA BOLDRINI) Beh per definizione la risposta è no: una vera intelligenza dovrebbe essere in grado di ragionare sui dati, estrarre le reazioni causa-effetto dai dati, come fanno gli umani tra l’altro, persino immaginare risposte a scenari alternativi. Per esempio cosa sarebbe successo se proprio per risolvere queste sfide di ricerca saranno necessarie cambiare il paradigma dell’AI attuale e andare verso quella che viene chiamata AI causale su cui anche il nostro gruppo di ricerca sta lavorando.

(CHIARA) Tutti gli scienziati che come Chiara Boldrini e Lorenzo Valerio studiano l’intelligenza artificiale si trovano a fronteggiare delle sfide simili il modo in cui le risolvono però può cambiare moltissimo.
A seconda dell’obiettivo che si pongono l’Unione Europea sta vestendo ormai da anni su progetti di ricerca che riguardano l’intelligenza artificiale e le finalità che si pongono questi investimenti sono spesso molto diverse da quelle dei programmi pubblici finanziati negli Stati Uniti o in Cina o ancora dai progetti che vengono sviluppati nelle grandi aziende private internazionali da Google a Microsoft, Amazon o Apple.
Per capirne di più abbiamo parlato con Maria Chiara Carrozza, Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Carrozza oggi è a capo del più grande ente italiano che si occupa di ricerca ma nel corso della sua carriera è stata una scienziata di fama internazionale sui temi della robotica. Le abbiamo chiesto in primis di raccontarci la via europea all’intelligenza artificiale, cioè come le scelte politiche dell’Unione Europea guidano la ricerca su questi temi nel nostro continente.

(MARIA CHIARA CARROZZA) La visione Europea sull’intelligenza artificiale secondo me risente moltissimo dell’approccio che ha sempre avuto l’Unione Europea per i finanziamenti alla ricerca che si basano su tre pilastri fondamentali: la ricerca fondamentale, la leadership industriale dei paesi europei, dei Paesi membri dell’Unione Europea, e il terzo pilastro è la ricaduta sociale quindi il beneficio per la società, oggi si dice impatto.
Questo imprinting culturale, che ha sempre il sociale come fine ultimo, ovviamente ha un po’ influenzato nel corso degli anni anche il modo di pensare e impostare la ricerca da parte dei ricercatori che hanno lavorato in Unione Europea, quindi essendo anche parte insomma di una comunità che si è sempre ispirata a questi tre pilastri e quindi al fine ultimo del bene sociale ovviamente anche nel campo dell’intelligenza artificiale c’è stata sempre una tendenza a cercare di svilupparla con una finalità per esempio sia di analisi dei dati per esempio per campo biomedicale oppure di analisi dei dati per il problema del cambiamento climatico con proprio un fine di sviluppare e di studiare fino a che punto l’intelligenza artificiale possa essere sviluppata e anche fino a che punto possa essere poi tradotta in algoritmi e applicata a problemi contingenti.
C’è da considerare che l’Unione Europea nel suo trattato ha proprio la solidarietà come elemento cardine e quindi ovviamente anche i programmi e il finanziamento all’intelligenza artificiale risentono di questo approccio.
È diverso invece dal contesto magari che si può trovare negli Stati Uniti per fare un esempio dove spesso ci sono agenzie nazionali che comunque hanno una finalità sia di ricerca fondamentale che di anche sostegno alla ricerca traslazionale con una finalità per esempio agenzie dedicate alla ricerca del capo biomedicale o altro però ci sono anche delle agenzie che hanno uno scopo duale o militare cioè di sviluppare programmi che hanno uno scopo militare ,molto connesso anche al tema dello sfruttamento industriale, quindi di una leadership industriale in qualche modo che indichi e rafforzi la sovranità e quindi le imprese nazionali.
Ovviamente c’è anche un altro tema che in Unione Europea ha la sua influenza che è quello legale e etico, perché c’è sempre un po’ un approccio anche giuridico e di tutela dei diritti della persona dei diritti umani che impregnano in qualche modo il nostro modo di stare nell’Unione Europea e quindi poi hanno enfatizzato l’aspetto regolatorio, anche perché consideriamo che da un punto di vista di come è oggi l’Unione Europea la concorrenza la regolazione dei mercati la tutela comunque dei diritti la lotta alle disuguaglianze fa parte diciamo di alcuni ambiti che sono prettamente europei.

(VIOLA) In un certo senso siamo stati abituati ad immaginare la robotica come il corpo e l’intelligenza artificiale come il cervello di una nuova generazione di macchine incredibilmente simile a noi
Le intelligenze artificiali come chatGPT sembrano proprio sfidarci sul terreno su cui abbiamo sempre pensato di distinguerci da tutte le altre specie sulla terra, cioè la nostra capacità di apprendere e ragionare. Chat GPT è un chatbot molto evoluto che utilizza l’intelligenza artificiale e l’apprendimento automatico per fare conversazione con gli utenti umani, accede a una sconfinata quantità di dati da cui apprende e dà l’impressione di essere in grado di compilare testi sensati che rispondono a tono e in modo pertinente alle richieste dell’utente. Insomma, chi ha usato chat GPT per un attimo ha avuto davvero l’impressione di trovarsi a conversare con un’altra persona.
Secondo Carrozza però questa sfida a ricreare l’intelligenza umana almeno in questa fase sembrerebbe più dettata da logiche commerciali che non dalla spinta a creare un valore scientifico reale e a risolvere questioni più pressanti per l’umanità.

(MARIA CHIARA CARROZZA) Io penso che la ricerca robotica sia affascinante perché sviluppando un sistema robotico che comprende necessariamente per essere robotico l’automazione del movimento e quindi la riproduzione del movimento, cioè la robotica è controllo del movimento e anche percezione del movimento, quando si interagisce con un robot si guida un robot il nostro fine ultimo e far sì che quando guidiamo un robot lo sentiamo come parte di noi e comunque lo controlliamo in modo molto naturale e risponde alle nostre domande quindi in un certo senso mettendo un po’ a confronto la robotica e quindi anche questa aspirazione di sviluppare un robot che poi è un’estensione e che quindi parte anche dal concetto di disabilità, cioè a una persona disabile io consento di muoversi un’altra volta, ecco questo secondo me è da mettere un po’ in contrapposizione con l’intelligenza artificiale che ha sempre lavorato invece in un altro modo. Secondo me è stato sempre fatto un errore di voler dimostrare grandi achievement dell’intelligenza artificiale mostrando la capacità di battere l’uomo, quindi l’idea è ovviamente in sé antagonista: perché io devo fare una cosa che mi batta gli scacchi?
A me interessa fare un sistema di intelligenza artificiale che faccia monitoraggio del traffico e che magari ci guidi per evitare più incidenti possibile per inquinare il meno possibile. Perché questa corsa? Allora io capisco la corsa ad andare su Marte, capisco la corsa a capire il cervello, a lottare contro l’Alzheimer
e quindi naturalmente un ricercatore anche che abbia questo imprinting europeo o italiano di solito la vede un po’ così, oppure un intelligenza artificiale che dia delle spiegazioni delle clusterizzazione dei fenomeni ma che vada anche a cercare di modellarne gli effetti, di modellarne il significato e quindi dia un significato a questi dati.
Io per tutta la vita professionale, gli ultimi anni sicuramente prima di diventare presidente del CNR, negli ultimi 15 anni ho lavorato per fare un esoscheletro per consentire una persona con una emiparesi o con un problema per consentirle di uscire un’altra volta da casa, andare fuori e poter essere libera di muoversi. Visto con l’approccio chat GPT avrei dovuto dire “Beh ci manda un robot fuori e lui se ne sta a casa”. Ecco ma è questo che noi vogliamo? Cioè perché fare tutto questo sforzo? Prendo, mando un robot e magari con la realtà virtuale aumentata guardo il robot che va fuori casa. E quindi mi domando: è questo il mondo che noi vogliamo? Secondo me è un momento in cui ci abbiamo talmente tanti problemi dell’umanità, la siccità, il cambiamento climatico eccetera, in cui io avrei preferito vedere corse a cercare di trovare soluzioni in questo campo.

(CHIARA) La tecnologia dovrebbe potenziarci e non sostituirci: questo è il principio di una intelligenza artificiale umano-centrica come ci spiegava Chiara Boldrini all’inizio di questa puntata: una intelligenza artificiale che ci supporta, che ci può migliorare, costruita intorno alle nostre necessità.
Il CNR è capofila del progetto Fair, il partenariato Nazionale sull’intelligenza artificiale che ha riunito 25 partner pubblici e privati, università enti di ricerca e aziende e che nei prossimi tre anni grazie a un investimento di 114 milioni di euro del PNRR cercherà di tracciare la via italiana all’intelligenza artificiale.

(MARIA CHIARA CARROZZA) Avere un’iniziativa italiana che permette sia di studiare i fondamenti della nuova intelligenza artificiale, quindi tutta la parte algoritmica, il machine Learning, tutto quello che deve essere ancora sviluppato e investigato ci consente di avere una possibilità di competere ma anche di non solo di competere da un punto di vista scientifico ma anche tecnologico e quindi di investire sul nostro futuro non solo di utenti o consumatori dell’intelligenza artificiale sviluppata dagli altri ma anche di produttori, produttori che possono anche avere una finalità Secondo me positiva nel senso di anche rilasciare a tutti quello che viene sviluppato dare la possibilità di fare qualcosa che sia anche in forma aperta che consente a tutti anche paesi in via di sviluppo di avere accesso a delle forme di intelligenza artificiale che possono avere una finalità positiva o utile quindi secondo me questo è molto importante ovviamente anche molto importante per la leadership industriale del nostro paese e in genere più In generale dell’Unione Europea in modo da essere in grado di competere.

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